Scoperta sull’Iss: meteoriti possono trasportare la vita fra i pianeti
La vita potrebbe essere arrivata sulla Terra viaggiando dentro un meteorite. Perché queste rocce spaziali possono trasportare organismi vivi da un pianeta all’altro. A rivelarlo è stato l’esperimento Life-Expose dell’Agenzia spaziale europea che ha portato sulla Stazione Spaziale Internazionale rocce ‘viventi’, contenenti cioè microorganismi vivi, in particolare microfunghi, che sono rimasti esposti fuori dalla Iss per un anno e mezzo, nel vuoto, al freddo e al caldo estremo. Flagellati dalle radiazioni solari e cosmiche dello spazio esterno, questi microrganismi sono stati trovati ancora vivi al loro rientro a Terra. Vivi nonostante siano rimasti per 19 mesi sottoposti a condizioni considerate letali per tutte le forme di vita. Un uomo, esposto nello spazio esterno senza protezioni, morirebbe infatti essiccato come una mummia, prima ancora di essere arrostito dalle radiazioni...
Partiti con la missione Sts-122 dello shuttle Atlantis il 7 febbraio 2008 e rientrati a Terra con il volo del Discovery del 12 settembre 2009, la vitalità di questi microrganismi ha quindi confermato “che il trasferimento della vita fra due pianeti sarebbe davvero possibile”. Ad anticiparlo all’Adnkronos è il biologo Silvano Onofri dell’Università della Tuscia di Viterbo, lo scienziato italiano che ha progettato e coordinato l’esperimento Life-Expose e che, la prossima settimana, illustrera’ all’Esa, in un brain storm al centro Estec di Noordwijk, in Olanda, i risultati dello studio.Lo studio, cui hanno partecipato anche ricercatori delle Agenzie spaziali tedesca Dlr e spagnola Inta e dell’Università di Dusseldorf, “ha dimostrato che questi microrganismi criptoendolitici delle rocce erano ancora vivi al rientro a Terra. E questo suggerisce che un meteorite potrebbe portare un carico di materia vivente da un pianeta nello spazio e, successivamente, depositarlo su un altro pianeta” spiega Onofri, ordinario di Botanica Sistematica e Direttore del Dipartimento di Scienze ecologiche e biologiche della Tuscia.“Certo noi sappiamo che un meteorite di Marte impiega molto piu’ di un anno e mezzo per arrivare sulla Terra, ma il successo dell’esperimento Life e’ un primo passo avanti importante per dimostrare che il trasferimento della vita tra due pianeti sarebbe possibile”, sottolinea ancora Onofri, che da molti anni studia i microrganismi chiamati criptoendolitici che vivono all’interno delle rocce in Antartide e in ambienti estremi, come le vette più alte, in presenza di basse temperature e forti radiazioni ultraviolette.“L’ipotesi scientifica dell’esperimento -spiega Onofri- era vedere se è possibile ipotizzare il trasferimento di microorganismi mediante meteoriti da un pianeta all’altro. Questa teoria, che risale a Lord Kelvin e che viene comunemente chiamata Lithopanspermia, ovvero trasferimento della vita mediante rocce, si basa su una serie di risultati e dati scientifici già acquisiti. Noi possiamo trovare in meteoriti, e anche meteoriti che possiamo classificare con sicurezza di origine marziana cioè provenienti da Marte, la presenza di sostanze organiche tra cui alcune che sembrerebbero proprio essere di origine biologica, come ad esempio amminoacidi”.Dunque la vita sulla Terra potrebbe essere arrivata attraverso un meteorite o potrebbe dalla Terra arrivare su un altro pianeta? “Se ipotizziamo che la vita possa aver avuto origine su Marte, dobbiamo capire se sia stato possibile il passaggio sulla Terra, o anche viceversa. Dobbiamo cioè capire se un meteorite, un pezzo di roccia che contenga dei microrganismi, possa uscire da un pianeta senza che questi muoiano, viaggiare nello spazio e atterrare vivi su un altro pianeta. Capire queste tre fasi è l’obiettivo del programma dell’Esa ‘Lithopanspermia’ e l’esperimento Life ha studiato la resistenza dei microrganismi al duro viaggio nello spazio. Ora, visti i risultati, i nostri microrganismi, che vivono naturalmente nelle rocce, sono i candidati a dimostrare che il trasferimento è possibile”.La resistenza di questi microrganismi alle condizioni estreme dello spazio era gia’ stata dimostrata con simulazioni di laboratorio dal team guidato da Silvano Onofri ma, dice lo scienziato, “adesso è arrivata la conferma che sono rimasti vivi nello spazio”. Per lo studio sulla Iss, i microorganismi sono stati montati all’esterno del Columbus, il laboratorio europeo realizzato in Italia, grazie ad una ‘passeggiata’ spaziale degli astronauti, e li’ sono rimasti esposti, per un anno e mezzo, allo spazio esterno. “Poi, una volta rientrati a Terra, – dice Onofri – è cominciata l’avventura scientifica. Un’avventura che sta gia’ dando importanti risposte proprio grazie alle attivita’ scientifiche svolte sulla Stazione Spaziale Internazionale”.“Oltre a verificare che questi microorganismi, microfunghi che vivono all’interno delle rocce, sono sopravvissuti, risultato già di enorme valore, abbiamo visto che – continua il biologo italiano – si riproducevano anche. Con alcuni esperimenti, abbiamo anche indagato sul danno al Dna che si è mostrato scarsissimo. Il genoma di questi organismi è risultato ben conservato, se non intatto”. Diversi gli esperimenti dello studio Life sono stati realizzati anche al Jpl, al Jet Propulsion laboratory della Nasa a Pasadena, in California. Molti gli scenari che si aprono con lo studio Life. Onofri sottolinea infatti che “dall’analisi dei sistemi biologici di protezione di questi organismi si potrebbero studiare metodi di protezione dalla radiazione estrema anche per l’uomo”.Aprendo una porta importante in vista delle future esplorazioni su Luna e Marte. E non solo. Capire i sistemi di protezione dei microrganismi potrebbe aprire scenari inediti anche per la protezione dell’uomo riguardo incidenti o guerre nucleari. “I nostri studi hanno come obiettivo l’ultravioletto estremo dello spazio, ma – riferisce Onofri – recenti ricerche su microfunghi che vivono nel sarcofago della centrale di Chernobyl hanno verificato che questi microrganismi sono perfettamente adattati alle radiazioni nucleari, anzi, invece di essere danneggiati, sono addirittura avvantaggiati”.“Approfondire la conoscenza sui meccanismi di protezione dei microrganismi – conclude Onofri – può aprire prospettive interessantissime per la protezione dell’uomo dalle radiazioni”. Link
Partiti con la missione Sts-122 dello shuttle Atlantis il 7 febbraio 2008 e rientrati a Terra con il volo del Discovery del 12 settembre 2009, la vitalità di questi microrganismi ha quindi confermato “che il trasferimento della vita fra due pianeti sarebbe davvero possibile”. Ad anticiparlo all’Adnkronos è il biologo Silvano Onofri dell’Università della Tuscia di Viterbo, lo scienziato italiano che ha progettato e coordinato l’esperimento Life-Expose e che, la prossima settimana, illustrera’ all’Esa, in un brain storm al centro Estec di Noordwijk, in Olanda, i risultati dello studio.Lo studio, cui hanno partecipato anche ricercatori delle Agenzie spaziali tedesca Dlr e spagnola Inta e dell’Università di Dusseldorf, “ha dimostrato che questi microrganismi criptoendolitici delle rocce erano ancora vivi al rientro a Terra. E questo suggerisce che un meteorite potrebbe portare un carico di materia vivente da un pianeta nello spazio e, successivamente, depositarlo su un altro pianeta” spiega Onofri, ordinario di Botanica Sistematica e Direttore del Dipartimento di Scienze ecologiche e biologiche della Tuscia.“Certo noi sappiamo che un meteorite di Marte impiega molto piu’ di un anno e mezzo per arrivare sulla Terra, ma il successo dell’esperimento Life e’ un primo passo avanti importante per dimostrare che il trasferimento della vita tra due pianeti sarebbe possibile”, sottolinea ancora Onofri, che da molti anni studia i microrganismi chiamati criptoendolitici che vivono all’interno delle rocce in Antartide e in ambienti estremi, come le vette più alte, in presenza di basse temperature e forti radiazioni ultraviolette.“L’ipotesi scientifica dell’esperimento -spiega Onofri- era vedere se è possibile ipotizzare il trasferimento di microorganismi mediante meteoriti da un pianeta all’altro. Questa teoria, che risale a Lord Kelvin e che viene comunemente chiamata Lithopanspermia, ovvero trasferimento della vita mediante rocce, si basa su una serie di risultati e dati scientifici già acquisiti. Noi possiamo trovare in meteoriti, e anche meteoriti che possiamo classificare con sicurezza di origine marziana cioè provenienti da Marte, la presenza di sostanze organiche tra cui alcune che sembrerebbero proprio essere di origine biologica, come ad esempio amminoacidi”.Dunque la vita sulla Terra potrebbe essere arrivata attraverso un meteorite o potrebbe dalla Terra arrivare su un altro pianeta? “Se ipotizziamo che la vita possa aver avuto origine su Marte, dobbiamo capire se sia stato possibile il passaggio sulla Terra, o anche viceversa. Dobbiamo cioè capire se un meteorite, un pezzo di roccia che contenga dei microrganismi, possa uscire da un pianeta senza che questi muoiano, viaggiare nello spazio e atterrare vivi su un altro pianeta. Capire queste tre fasi è l’obiettivo del programma dell’Esa ‘Lithopanspermia’ e l’esperimento Life ha studiato la resistenza dei microrganismi al duro viaggio nello spazio. Ora, visti i risultati, i nostri microrganismi, che vivono naturalmente nelle rocce, sono i candidati a dimostrare che il trasferimento è possibile”.La resistenza di questi microrganismi alle condizioni estreme dello spazio era gia’ stata dimostrata con simulazioni di laboratorio dal team guidato da Silvano Onofri ma, dice lo scienziato, “adesso è arrivata la conferma che sono rimasti vivi nello spazio”. Per lo studio sulla Iss, i microorganismi sono stati montati all’esterno del Columbus, il laboratorio europeo realizzato in Italia, grazie ad una ‘passeggiata’ spaziale degli astronauti, e li’ sono rimasti esposti, per un anno e mezzo, allo spazio esterno. “Poi, una volta rientrati a Terra, – dice Onofri – è cominciata l’avventura scientifica. Un’avventura che sta gia’ dando importanti risposte proprio grazie alle attivita’ scientifiche svolte sulla Stazione Spaziale Internazionale”.“Oltre a verificare che questi microorganismi, microfunghi che vivono all’interno delle rocce, sono sopravvissuti, risultato già di enorme valore, abbiamo visto che – continua il biologo italiano – si riproducevano anche. Con alcuni esperimenti, abbiamo anche indagato sul danno al Dna che si è mostrato scarsissimo. Il genoma di questi organismi è risultato ben conservato, se non intatto”. Diversi gli esperimenti dello studio Life sono stati realizzati anche al Jpl, al Jet Propulsion laboratory della Nasa a Pasadena, in California. Molti gli scenari che si aprono con lo studio Life. Onofri sottolinea infatti che “dall’analisi dei sistemi biologici di protezione di questi organismi si potrebbero studiare metodi di protezione dalla radiazione estrema anche per l’uomo”.Aprendo una porta importante in vista delle future esplorazioni su Luna e Marte. E non solo. Capire i sistemi di protezione dei microrganismi potrebbe aprire scenari inediti anche per la protezione dell’uomo riguardo incidenti o guerre nucleari. “I nostri studi hanno come obiettivo l’ultravioletto estremo dello spazio, ma – riferisce Onofri – recenti ricerche su microfunghi che vivono nel sarcofago della centrale di Chernobyl hanno verificato che questi microrganismi sono perfettamente adattati alle radiazioni nucleari, anzi, invece di essere danneggiati, sono addirittura avvantaggiati”.“Approfondire la conoscenza sui meccanismi di protezione dei microrganismi – conclude Onofri – può aprire prospettive interessantissime per la protezione dell’uomo dalle radiazioni”. Link
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